I

Nell’attuale situazione della critica letteraria italiana è in movimento da tempo, rispetto alla relativa compattezza del periodo dominato dalla metodologia crociana, un vasto e vario ripensamento metodologico che tende a sostenere una pratica critica assai diversa da quella crociana. Non che l’epoca crociana possa davvero configurarsi come un blocco unitario e massiccio, ché essa fin dai suoi inizi fu percorsa da molteplici spinte anticrociane e non crociane in sede estetica e critica. A parte il fatto che la stessa metodologia e critica del Croce deve onestamente rappresentarsi ricca di sviluppo e di movimento interno, dotata di una assai elastica capacità di recupero parziale di istanze diverse rispetto alle impostazioni dell’Estetica e dei primi saggi sulla letteratura della nuova Italia, sollecitato anche dalla meditazione e dalla pratica di altri pensatori e critici[1].

Né, pur nettamente rilevando la novità sostanziale della situazione attuale nei suoi principali indirizzi ed istanze, credo corrispondente a verità il taglio netto operato da alcuni frettolosi storici che parlano addirittura di contrasto fra tolemaici e copernicani costringendo, per volontà polemica e tendenziosa, una realtà tanto piú complessa e variegata entro uno schema di rovesciamento che spesso camuffa motivi assai vecchi e pratiche assai retrodatabili con etichette vistose e con fanfare piú squillanti che convincenti.

Ma certo, entro un generale e forte spostamento pratico di prospettive nei confronti della lata zona crociana, è venuta sempre piú crescendo, proprio anzitutto nel campo dei critici, l’esigenza di tradurre nuove esperienze in nuova coscienza metodologica, di confrontare istanze ed esperienze sul metro di principi generali, di portar ordine e coerenza in una prassi spesso troppo disancorata e oscillante riportandola a posizioni di metodo e a rapporti con piú generali posizioni culturali, ideologiche, politiche, e magari con la stessa battaglia per l’affermazione di nuove poetiche contemporanee.

E se viceversa si può notare una sproporzione fra questa volontà e l’appoggio adeguato di un pensiero estetico e filosofico[2] e spesso una certa prudente fedeltà puramente applicativa e specialistica di metodi di ricerche tecniche particolari (che pur ha rappresentato un modo di reazione a eccessi formulistici e ad ambizioni di critica filosofica del periodo idealistico), mi pare indubbio che il bisogno di chiarimento metodologico sia genuino e vivo e che, dopo la sua risoluzione in frettolose e spesso successive adesioni a nuove proposte della critica, specie non italiana, esso richieda, a livello di esperienze vaste e non solo italiane, un dialogo aperto e diretto – consapevole dei rischi dell’eclettismo e delle posizioni partigiane e unilaterali – a cui collaborino anzitutto i critici dotati di volontà e coscienza metodologica, ma anche quei pensatori di estetica che siano forniti di esperienza critica: e non sto a dire dell’utilità di un diretto scambio di esperienze fra critici letterari, critici delle arti figurative, della musica, del teatro e del cinematografo.

Un dialogo che cerchi di superare l’urgenza delle mode e la tentazione di quegli sbalzi e revirements precipitosi, fra noi del resto attenuati da una tradizione critica che ha alcuni punti chiave di riferimento (si pensi almeno a De Sanctis) in una situazione piú viscosa e non perciò senz’altro «tradizionalistica» rispetto a certi sussulti piú improvvisi di altre situazioni culturali.

Quali quelli che René Wellek recentemente ci denunciava[3] nella situazione critica americana (l’assalto di un nuovo contenutismo e storicismo di bassa lega alla roccaforte del new criticism) e di cui egli trasferiva la drammaticità vera o presunta nei termini generali e, per noi impropri, di una lotta fra uno storicismo relativista e una retta impostazione dei compiti della critica che a noi sembrano ancorati ad una accezione sommaria e non accettabile dello storicismo e ad una troppo rigida distinzione fra teoria-letteraria, storia e critica.

Comunque anche fra noi, seppure in forma piú dialettica e complessa, nuove manifestazioni di contenutismo e di formalismo (per adoperare le parole di una querelle che ha, a diversi livelli, appassionato diverse generazioni critiche) si celano in varie tendenze della critica attuale ed esse, sia nella loro fecondità di stimoli e di contributi, sia nei loro pericoli di unilateralità, rimandano ancora alla necessità di una nuova presa di coscienza delle possibilità e dei compiti della critica e della storiografia letteraria, e alla utilità di un dialogo, al di là della semplice coltivazione del proprio giardino.

A questo dialogo, magari inizialmente svolto fra critici dotati di volontà metodologica (meglio comunque che fra metodologi privi di esperienza e attività critica), intendo partecipare con questa ulteriore e piú ampia identificazione della convergenza fra la mia esperienza diretta e la mia prospettiva critica in una stagione assai feconda di lavoro e di impianto di nuovo lavoro.

Non certo con la pretesa di offrire un compiuto «manuale» di metodologia o di risolvere trionfalmente nella mia prospettiva le istanze diverse della attuale problematica, ma mosso dalla persuasione di aver sempre, e ora tanto piú, cercato una via di ricostruzione e interpretazione storico-critica della storia letteraria e delle personalità poetiche unitaria e centrale: ben consapevole del limite stesso di tali parole in ogni campo dell’attività umana e particolarmente della critica, tanto legata all’angolo di gusto personale e storico del critico e della sua esperienza e ispirazione specifica, alla complessità e ricchezza del suo oggetto di studio, e ben consapevole del fatto che ogni critica non può non avere in sé una «tendenza», pena la sterilità o l’eclettismo.

Ma dico via centrale e unitaria in quanto, a vario livello di maturate esigenze interne e di stimoli e arricchimenti di esperienze altrui, entro un arco di anni e di vicende critiche ormai assai lungo, la piú istintiva e meditata tendenza del mio lavoro critico, appoggiato sempre a dichiarazioni e affermazioni di metodo, si è caratterizzata come disposizione a interpretare la poesia entro il vivo rapporto con tutta la personalità dinamica del poeta nelle sue esperienze e dimensioni storiche, letterarie, culturali, morali, a ricostruire le singole personalità poetico-storiche entro la tensione espressiva del loro tempo, nel loro dialogo con la contemporaneità letteraria e con la tradizione, nella problematica generale della storia di una società e civiltà: insomma nel generale connettivo della poetica che raccoglie e commuta in coscienza, volontà e direzione artistica la complessa vita personale storica dei poeti e le spinte tensive vitali e culturali delle varie epoche letterarie. Non in una serialità continua e materiale di causalità deterministica, ma nel dialettico e vivo rapporto di nessi e gradi di condizionamento concreto, in cui la particolare e pur storica novità della poesia non viene mortificata, ma geneticamente intesa e valutata, proprio nella sua forza e nel suo contributo originale, storicamente e personalmente individuati, tanto meglio che in un accostamento di pura sensibilità, alla fine inevitabilmente impressionistico, o in una pura misurazione o in una pura adeguazione di rappresentatività storica.

Perché, come ovviamente non si può intendere un verso isolato dal suo contesto (gli equivoci decadenti sul verso della Stampa «vivere ardendo e non sentire il male») e da un contesto inteso nel suo preciso significato entro le ragioni interne di tutto il poeta e del suo sviluppo, nelle forme del suo linguaggio e del particolare impegno creativo che lo motiva, cosí questi a loro volta non possono venir intesi senza la conoscenza e comprensione del linguaggio dell’epoca e della tradizione che vi confluisce, delle direzioni di tensione poetica dell’epoca e, attraverso questa, di tutta la vita storica che in esse trova espressione estetica.

Anche accettando, fuori della sua accezione platonizzante e romantico estetica (e dunque già con una forzatura discutibile), la sentenza keatsiana che «a thing of beauty is a joy for ever», sarà evidente la diversa pienezza e sicurezza con cui la «gioia per sempre» sarà valorizzata nella sua ideale eternità poetica (del resto mai aperta automaticamente senza la collaborazione del lettore in tutta la sua nuova situazione personale-storica) attraverso la comprensione dei modi particolari, personali e storici, che han permesso al poeta di elaborare la sua immagine nella sua concreta esperienza vitale e storica, nel dialogo con gli altri poeti presenti alla sua esperienza di scrittore, nel rapporto concreto con la sua concezione e volontà di poesia e con le concezioni e volontà di poesia del proprio tempo.

Per capire il «for ever» occorrerà (come per ogni valore umano, azione morale, pensiero filosofico) intenderne il processo di affermazione generale e peculiare, occorrerà riimmergersi con tutti gli strumenti a ciò atti (ed ovviamente, fra essi, con il primo capitale del critico che è la sensibilità estetica) nella concreta situazione del poeta e nella sua direzione fondamentale. Né ciò potrà poi farsi davvero senza riimmergersi insieme nel mondo storico-artistico in cui quello si è formato e affermato, senza comprendere la tensione espressiva di quel mondo, la sua problematica e tensione di direzioni sociali, culturali e artistiche.

Solo attraverso quest’operazione storico-critica si fa concretamente vivere l’ «eternità», cioè l’estetico significato umano-storico dell’opera d’arte.

A questa tendenza storico-critica, alla sua unitaria e centrale istanza di interpretazione e ricostruzione dei fatti artistici in tutta la loro connessa storicità peculiare e generale, sollecitano e rimandano in diverso modo alcuni elementi delle tendenze attualmente piú vivaci e vistose della critica: storicità sociale dell’opera d’arte, storicità del linguaggio e dello stile. Ma essa si è distinta e appoggiata ad una particolare base di ricerca e ad una prospettiva di studio che respinge la semplice rappresentatività storica della poesia e la semplice misurazione stilistica dei risultati poetici, il pericolo del documentarismo e del formalismo, ed essa tende ad avviare e sostenere un’operazione critica e storiografica unitaria e articolata, attenta alle forze vive dell’ispirazione e del loro concreto alimento vitale, culturale, storico, e alla loro disposizione e tensione a tradursi, attraverso il lavoro espressivo, artisticamente fino al risultato stilistico estremo.

Attraverso quell’impulso direttivo e quel lavoro la parola poetica sale dal caldo fermento vitale e dagli impegni umani e storici del poeta, entro una situazione che non è mai di assoluta solitudine, sino alla sua realizzazione che ne fa una realtà nuova, la quale contribuisce, originalmente, proprio per tale sua artistica forza e per la sua intera umanità e storicità, alla vita multiforme e intera della storia. E continua cosí la sua vita attiva nello sviluppo della critica, nelle nuove tradizioni letterarie, nella tensione umana culturale e poetica che essa arricchisce e suscita quanto piú sia intesa non come termine di fruizione estetizzante o di fredda misurazione tecnicistica, o di adesione a puri contenuti grezzi, ma come nucleo di consolidamento della tensione di una esperienza fondamentale nella vita degli uomini e connessa radicalmente con tutte le esperienze e le forme di esperienze della vita umana.

Tanto piú intensa quanto piú artisticamente realizzata, ma tanto piú artisticamente profonda quanto piú ha impegnato e commutato in arte tutte le forze morali, intellettuali e culturali del poeta, la sua storicità-umanità (storicità riconoscibile come umanità, umanità concreta in quanto storicità): quanto piú ricca e profonda tanto piú capace di sostenere grande poesia. Ché non conosco veri grandi poeti dall’umanità piccola e privi di una problematica storica profonda, e la grande fantasia non si sorregge in una personalità povera, anchilosata, senza succhi culturali e storici.

La base fondamentale di questa prospettiva di interpretazione e ricostruzione (ricostruire criticamente non è semplice conoscenza, ma collaborazione attiva e, a suo modo, operativa) è stata ed è per me – pur con variazioni e approfondimenti successivi – l’uso storico-critico della poetica, l’individuazione e l’adozione strumentale di un aspetto e momento dell’esperienza artistica riconoscibile nella concreta realtà delle singole esperienze personali e nella tensione artistica delle varie epoche.


1 Per una visione storica e dialettica della situazione del primo Novecento e dello sviluppo crociano e dell’intreccio di correnti anticrociane e non crociane con sviluppi del crocianesimo stesso, rimando al mio rapido profilo della critica letteraria contemporanea nel II volume dell’opera diretta da F. Lombardi, La filosofia contemporanea in Italia, Asti-Roma 1958.

2 Malgrado i rischi dell’estetica precedente, l’esperienza critica e, peggio, priva di esperienza critica concreta e l’esigenza di un piú stretto rapporto fra l’estetica e la critica (si pensi ai limiti di esperienza letteraria di vari scrittori di estetica e alla difficoltà che un pensatore di estetica si appoggi ad una vasta, diretta meditazione sui diversi fenomeni artistici), l’esigenza di un’estetica, di una collocazione dell’attività artistica entro visioni generali della vita e della conoscenza non può facilmente abolirsi e sostituirsi con una semplice metodologia delle singole arti, come sembrerebbe piú concreto e piú coerente con uno specialismo che rischia di ridursi ad empirismo. Ma sarebbe ben strano attendere intanto il lavoro critico! Il quale poi è esso stesso base sollecitante del pensiero estetico e cosí promuove realmente, proprio concretamente procedendo e sviluppando nuove esigenze metodologiche in fieri, anche nuove sistemazioni estetiche.

3 R. Wellek, Teoria, critica e storia letteraria, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», 1960, I-II, pp. 1-13, traduzione di A. Russi. Anche il noto volume scritto dal Wellek in collaborazione con il Warren (R. Wellek e A. Warren, Teoria della letteratura e metodologia dello studio letterario, trad. it. di P.L. Contessi, Bologna 1956), pur meritorio per una divulgazione vasta, fra noi, di teorie critiche europee e americane, si imposta in una rigida divisione fra «metodi estrinseci» e «studio intrinseco» della letteratura, assolutamente inaccettabile per chi abbia un minimo di coscienza storico-critica e avverta l’inseparabilità delle «cose» e dello «stile», per adoperare una terminologia leopardiana, e ricordi almeno il pensiero leopardiano del 9 settembre 1823 (Zibaldone, in G. Leopardi, Tutte le opere, a cura di W. Binni con la collaborazione di E. Ghidetti, Sansoni, Firenze, 1969, II, p. 846) che convenientemente integra e approfondisce piú centralmente quelli precedenti sulla decisività dello stile (cfr. Zibaldone, 19 giugno 1823, ed. cit., p. 706): «Molti presenti italiani che ripongono tutto il pregio della poesia, anzi tutta la poesia nello stile, e disprezzano affatto, anzi neppur concepiscono, la novità de’ pensieri, delle immagini, de’ sentimenti; e non avendo né pensieri, né immagini, né sentimenti, tuttavia per riguardo del loro stile si credono poeti, e poeti perfetti e classici: questi tali sarebbero forse ben sorpresi se loro si dicesse, non solamente che chi non è buono alle immagini, ai sentimenti, ai pensieri, non è poeta, il che lo negherebbero schiettamente o implicitamente; ma che chiunque non sa immaginare, pensare, sentire, inventare, non può né possedere un buono stile poetico, né tenerne l’arte, né eseguirlo, né giudicarlo nelle opere proprie né nelle altrui; che l’arte e la facoltà e l’uso dell’immaginazione e dell’invenzione è tanto indispensabile allo stile poetico, quanto e forse ancor piú ch’al ritrovamento, alla scelta e alla disposizione della materia, alle sentenze e a tutte le altre parti della poesia ec. Onde non possa mai esser poeta per lo stile chi non è poeta per tutto il resto, né possa aver mai uno stile veramente poetico, chi non ha facoltà, o avendo facoltà non ha abitudine di sentimento di pensiero di fantasia, d’invenzione, insomma d’originalità nello scrivere». Si potrà dire che qui si denuncia una concezione astratta e formalistica dello stile, ma non avviene poi cosí di nuovo quando si separa, nell’esame critico, una parte estrinseca e una intrinseca nella considerazione dell’opera d’arte storico-personale? Ciò che è vero per l’opera d’arte, dove, come ripeteremo sulla scorta congiunta di Foscolo e Hölderlin, «alle Kräfte regsam sind» e vengono esercitate «le facoltà tutte dell’uomo» (e dell’uomo storico nella sua storicità-umanità), è vero anche per lo studio critico che dovrà avere interne articolazioni e ricchezza di procedimenti, ma che non può non essere unitario ed integrale. Anzi la separazione e l’unilaterale pretesa di esaurienza dei metodi estrinseci e intrinseci è proprio la causa dell’abbassamento di tensione critica che si può avvertire in molti settori dello «studio letterario» italiano e straniero. E alla fine cosa c’è di piú «estrinseco» di certi studi di trasmissione di temi e di moduli letterari che prescindono dalle ragioni interne di tutta la personalità del poeta e della sua storicità?